La
depressione colpisce sempre più persone a livello mondiale. Oggi è
al 4° posto tra le malattie che accorciano la vita, ma potrebbe
presto conquistare il podio. In Italia colpisce il 10% della
popolazione, mentre 121 milioni sono le persone affette da questo disturbo
secondo l'OMS. Oltre a questi dati preoccupanti, ci ha fatto allarmare il
rapporto della Commissione d'Inchiesta sul Sevizio Sanitario
Nazionale di Palazzo Madama, portandoc ad
indagare sulla situazione dei malati mentali in Italia e
sull'utilizzo dell'elettroshock nel mondo.
Il
disturbo mentale ha sempre fatto paura, quasi come la morte e, per
questo ha provocato spesso il rifiuto, l'isolamento e l'emarginazione
di chi ne è affetto. Ma i malati di mente sono malati, da rispettare
e da curare come tutti gli altri malati e senza titoli discriminanti
ed ingiuriosi.
STORIA
Nel
periodo dei manicomi, i malati mentali venivano accolti in vere e
proprie strutture nelle quali subivano ogni genere di violenza, perché non si
comprendeva la malattia e si preferiva nascondere il malato dagli
occhi di tutti. Le guerre e l'era industriale crearono una
moltiplicazione dei casi di disturbo mentale e i governi ad un certo
punto dovettero affrontare il problema. Nell'immediato dopoguerra
partirono i primi studi su base scientifica e pian piano fu compreso
che il malato mentale poteva essere reinserito in ambito comunitario
dopo essere stato accolto in una istituzione. Nacque così una nuova filosofia psichiatrica che vide l'uomo come
titolare di diritti, al centro del processo riabilitativo.
In
Italia le precarie condizioni dei malati mentali vennero denunciate negli anni '70, sulla scia delle proteste
anticonformiste del 1968. In quel periodo l'unica cosa che contava
era chiudere la struttura indesiderata (“la lotta del cancello”) per cancellare gli orrori e
trasferire tutti i pazienti. Il movimento in prima linea era
quello dell'antipsichiatria, secondo cui la malattia mentale non
esiste. Le idee furono esposte da Franco Basaglia in un libro
del 1978 "Psichiatria e Antipsichiatria" e furono poi
divulgate tramite la Legge 180.
Questa
riforma del sistema dell'assistenza psichiatrica ospedaliera e
territoriale, voleva essere un modo per modernizzare l'impostazione
clinica dell'assistenza psichiatrica, instaurando rapporti umani con
il personale e la società, riconoscendo la qualità di vita e i
diritti dei pazienti. Questa legge prevedeva la chiusura dei
manicomi, la regolamentazione del Tso (trattamento sanitario
obbligatorio), istituiva i servizi di igiene mentale pubblici e il
Servizio Sanitario Nazionale e demandava alle Regioni il compito di
creare strutture territoriali adeguate. Tuttavia, la riforma ha
avuto reale attuazione solo nel Friuli Venezia Giulia, nel comune di
Pistoia e in altre località minori. La legge 180/1978 regola ancora
oggi (inserita nella legge nazionale sanitaria 833) l'assistenza psichiatrica in Italia, nonostante le critiche e le
proposte di revisione.
L’introduzione
degli psicofarmaci ha poi portato un ulteriore cambiamento della
società e della struttura sanitaria. Gli psicofarmaci non guariscono
la malattia, però possono diminuire i sintomi, allungare i periodi
di latenza, bloccarne l’evoluzione, ridurre le crisi di violenza e
permettono una quasi normalità. Per questo, la chiusura permanente o
quasi del malato in apposite strutture è diventata necessaria solo
nei rarissimi casi. Tutti i paesi europei dal 1975 al 1990
hanno adeguato la legislazione e le strutture a questa nuova realtà,
riformando più volte la legge. Solo l’Italia ha fatto eccezione.
DIVISIONE
TRA PRO E CONTRO LEGGE 180
Dopo
l'avvento della nuova legge sulla salute mentale i familiari si sono
associati in due distinte fazioni. Le associazioni di familiari
pro-legge 180 legate a cooperative, gruppi sociali e medici, che sono
spesso politicizzate o unite nei mass media con l'obiettivo è la
libertà terapeutica del paziente. Dall'altra parte, ci sono le associazioni di familiari per
migliorare la legge 180: non legate ad alcuna organizzazione di
categoria,divise tra quelle che hanno radicalizzato la lotta nel
rifiuto della legge e quelle che mantengono un atteggiamento
rispettoso verso alcuni punti, come la
contrarietà alla struttura manicomiale. Siccome entrambi i gruppi richiedono
comunque un miglioramento dell'attuale situazione di abbandono, andiamo a vedere quali sono i punti di criticità della legge Basaglia.
CONTRARI
ALLA LEGGE 180
“Nessuno
sogna di riaprire la stagione dei manicomi, che sarebbe un incubo,
sogniamo una stagione di cura, perché la 180 abbandona le famiglie
che hanno malati mentali, le lascia sole”. F.Storace
Secondo coloro che richiedono un miglioramento, la legge 180, sebbene valida sul piano
della dignità umana, non ha tenuto conto di alcune importanti
fattori. Primi tra tutti: i pazienti e le famiglie.
I
pazienti venivano dimessi selvaggiamente, senza essere più
ricoverati per l'assenza di strutture territoriali adeguate e si
equiparavano i pazienti più violenti o aggressivi a quelli più
tranquilli.
Le famiglie sono state costrette a sobbarcarsi l'intera assistenza
sanitaria e continuano a farlo da oltre 26 anni. I
familiari, costretti a convivere con una persona spesso delirante,
hanno subito anche gravi conseguenze perchè non sono in grado di
diagnosticare i miglioramenti e peggioramenti dei disturbi. Sono legati emotivamente al malato e pertanto sono difficilmente
affidabili. Per di più, sono incolpati della condizione mentale dei
loro cari. Tra le teorie dell'antipsichiatria c'è infatti quella del
double-bind: che sostiene in pratica che la famiglia per l'incapacità
di comunicare con il disturbato, sia la causa determinante della
schizofrenia.
A
livello legislativo la legge prevede:
Art.33.
Gli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori sono disposti dal
sindaco su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti ed i
trattamenti sanitari obbligatori sono attuati nei presidi e servizi
pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture
ospedaliere pubbliche o convenzionate.
Art.34.
La legge regionale disciplina la istituzione dei servizi a struttura
dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e
riabilitative relative alla salute mentale.
Gli oppositori affermano che la degenza non dovrebbe essere mai
fatta in un ospedale generale, ma occorre una struttura specialistica
adatta. Inoltre, la decisione deve essere demandata ai medici e poi
soggetta alla convalida di una Commissione ad hoc, non al sindaco.
L'art 34 inoltre demanda la responsabilità alle Regioni, ma non
chiarisce e non specifica come devono essere le strutture e come
vanno controllate, mostrando quindi una povertà di contenuti e una
completa de-responsabilizzazione.
Infine, osservando
i grafici tratti dai dati ufficiali del Ministero degli Interni in Italia le morti per malattia mentale hanno
subito un elevato incremento dal 1980. Si potrebbe però obbiettare
che la mortalità per malattia mentale potrebbe essere aumentata
anche negli altri paesi. Ma i dati ufficiali dello WHO, riguardante i morti per malattia mentale in
Italia, in Europa ed in alcuni paesi europei, dimostrano che l’Italia
è l’unico Paese europeo in cui la mortalità è aumentata di ben 6
volte dopo il 1980, mentre negli altri Paesi ha avuto un modesto
incremento.
ELETTROSHOCK
L'elettroshock
(oTec, terapia elettroconvulsivante) è una tecnica terapeutica, che
induce convulsioni nel paziente successivamente al passaggio di una
corrente elettrica attraverso il cervello. Fu sviluppata e introdotta
negli anni trenta dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini ed
è ancora utilizzata in Italia e nel mondo. Secondo il rapporto della
Commissione di Inchiesta sul Ssn di Palazzo Madama, in Italia tra il
2008 e il 2010, 1.406 i pazienti sono stati trattati con
elettroshock.
821
donne e 585 uomini (la maggioranza tra i 40 e 74 anni) sono state
sottoposte alla Tec in una delle 9 strutture psichiatriche
autorizzate a tale trattamento: sei sono pubbliche (Brescia,
Oristano, Cagliari, Bressanone, Brunico e Pisa) e tre private (la
clinica San Valentino a Roma, la Santa Chiara a Verona e la
Barruziana a Bologna).
In Italia, il ricorso a questo trattamento segue le disposizioni della circolare 15/02/1999 del Ministero della Salute, che ne limita l’uso a situazioni cliniche molto particolari e gravi. Ma questo metodo di cura è molto dibattuto e secondo alcuni esperti non avrebbe una validità scientifica. Basaglia affermò che curare un paziente con l’elettroshock è «come prendere a pugni un televisore per rimetterlo sulla giusta frequenza».
In Italia, il ricorso a questo trattamento segue le disposizioni della circolare 15/02/1999 del Ministero della Salute, che ne limita l’uso a situazioni cliniche molto particolari e gravi. Ma questo metodo di cura è molto dibattuto e secondo alcuni esperti non avrebbe una validità scientifica. Basaglia affermò che curare un paziente con l’elettroshock è «come prendere a pugni un televisore per rimetterlo sulla giusta frequenza».
Gli
effetti collaterali sono legati alla confusione e perdita di memoria
riguardante gli eventi prossimi al trattamento e ai dolori muscolari;
mentre danni celebrali permanenti non sono stati ancora riscontrati.
Tuttavia, secondo una ricerca del 2010 di John Read e Richard
Bentall, dell'Università di Bangor, su 112 studi e resoconti
clinici, la Tec non evidenza alcuna efficacia e sicurezza. Anzi, la
ricerca conferma la presenza di danni sulle funzioni cognitive,
soprattutto per quanto riguarda l'attenzione e la memoria e le
lesioni, che possono essere permanenti, si accompagnano anche a un
lieve aumento del rischio di morte.
Questa
pratica che viene abitualmente utilizzata in molti altri Paesi come
gli Stati Uniti, dove, grazie alla rivalutazione che ha avuto negli
anni '80, viene applicata oggigiorno su circa 100 mila pazienti
all’anno. Anche in Italia c'è chi la sostiene, ad esempio nel
2008, l'Associazione italiana per la terapia elettroconvulsivante,
propose una petizione in cui si chiedeva l'apertura di almeno un
servizio di Tec per ogni milione di abitante.
Infine,
secondo la ricercatrice neurologa Helen Mayberg, una stimolazione
elettrica controllata (un pacemaker) potrebbe offrire miglioramenti
apprezzabili nei confronti di disturbi depressivi maggiori. L'ha già
dimostrato un’efficacia in malattie come il morbo di Parkinson. La
Deep Brain Stimulation è una metodica neurochirurgica che prevede
l'impianto di elettrodi in specifiche regioni cerebrali, attraverso
dei piccoli fori di trapano praticati sul cranio. Questa tecnica è
di comprovata efficacia nel trattamento di alcuni sintomi
neurologici, come il Morbo di Parkinson, epilessia non controllabile
farmacologicamente e dolore.
Naturalmente il mondo scientifico non è
tutto d’accordo sull’utilizzo di certe tecniche per la cura delle
malattie mentali.
IDEE
ALTERNATIVE
La
depressione e l'esaurimento sono i mali del nostro secolo, ma al giorno
d'oggi esistono forme meno invasive per provare a guarire. Le terapie
olistiche e la fisica quantistica offrono una visione alternativa di vedere il problema e di
affrontarlo, ma bisogna essere capaci di aprire la mente a schemi
differenti da quelli che la cultura occidentale degli ultimi secoli
ci ha abituato.
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